Cosa resterà dopo il PNRR?

La nuova sanità territoriale richiede professionisti e strumenti ad hoc che però non ci sono. Le incoerenze e le mancanze che possono far fallire il PNRR.

Nel precedente post, che trovate qui, ho illustrato il Piano di Sostenibilità del PNRR per la sanità che dovrebbe assicurare le coperture economiche per i costi aggiuntivi determinati dal personale e dai costi gestione delle nuove strutture territoriali (Case di Comunità, Centrali Operative Territoriali, Ospedali di Comunità.

Come coprire il fabbisogno di risorse professionali?

Il problema però non è soltanto economico, ossia come mantenere in vita ciò che si sta realizzando ma sulla effettiva fattibilità delle iniziative che sono state previste. La prima grande criticità riguarda la copertura del personale. La medicina generale è fortemente contraria alle Case di Comunità che vengono viste come un tentativo di accentrare la loro attività e una riduzione della loro autonomia professionale. Questa posizione si colloca in un contesto di forte carenza di MMG e la progressiva diminuzione del loro numero con il conseguente aumento del numero di assistiti a carico. Le uscite per quiescenza previste per i prossimi anni andranno ad accentuare questo fenomeno e renderlo ancora più critico.

Non è migliore la situazione per quanto riguarda gli infermieri, gli OSS e il personale di supporto. La riforma del DM 77 prevede un fabbisogno di quasi 30.000 unità, a cui vanno aggiunti quelli necessari per rimpiazzare i pensionamenti (soltanto nel periodo 2020 – 2026 vi andranno oltre 50.000 infermieri). Esiste un forte squilibrio tra la domanda e l’offerta, ossia il numero di infermieri e altro personale del comparto sanitario disponibili.

C’è infine la necessità di inserire nelle Case di Comunità medici specialisti per affiancare i MMG nella gestione delle visite ambulatoriali. Spostarli dagli ospedali, sia pure parzialmente, dove già oggi c’è, specie per alcune branche, carenza di organico e liste di attesa lunghissime o assumerne di nuovi? Ma quanto può essere appetibile, per un giovane medico, lavorare in una Casa di Comunità?

L’impressione è che DM 77 sia in totale “controtempo” rispetto al periodo che stiamo vivendo, una riforma pensata senza alcun nesso con la realtà.

Quali strumenti digitali per la nuova sanità territoriale ?

Anche in questo caso la misura 6 (sanità) del PNRR appare incoerente. Sappiamo che i sistemi informativi territoriali sono sempre stati “la Cenerentola” dell’informatica sanitaria. Mentre la digitalizzazione dell’ospedale ha avuto risorse e finanziamenti nel tempo, il territorio è sempre stato gestito con una miriade di applicazioni, non integrate tra loro, di fattura spesso artigianale e di bassa qualità. È mancata qualsiasi visione di sistema integrato territoriale e il focus è sempre stato posto sugli aspetti gestionali, con l’obiettivo di produrre i flussi informativi e misurare le attività svolte.

Nonostante ciò, mentre per la digitalizzazione degli ospedali sedi di DEA di primo e secondo livello sono stati stanziati più di un miliardo di euro, per la sanità territoriale sono stati stanziati 42 milioni per l’interconnessione delle COT e circa un miliardo e mezzo per la telemedicina, con l’obiettivo di assistere con questa modalità 300.000 pazienti entro il 2025.

Nella riforma del DM 77 non c’è solo la telemedicina ma ben di più: la medicina di popolazione e la medicina di iniziativa che dovrebbe essere imperniata sul Progetto di Salute. Ma con quali strumenti le ASL potranno svolgere queste funzioni? Non ci sono cartelle cliniche territoriali (qui potete trovare alcuni articoli che la descrivono) ma solo cartelle cliniche specialistiche per alcune branche. I software che gestiscono i PDTA e l’assistenza domiciliare – ADI – sono orientati alla gestione delle attività e alla loro rendicontazione. Non gestiscono informazioni cliniche e non sono in grado di misurare gli esiti degli interventi. Eppure non è importante, clinicamente parlando, misurare ciò che si fa ma piuttosto comprendere l’impatto e l’efficacia delle prestazioni erogate sulla salute delle persone. La medicina di iniziativa richiede software in grado di gestire il care management che non è solo la lista delle attività da svolgere.

Non è facile poi eseguire la profilazione dei pazienti, alla base della medicina di popolazione. Un primo ostacolo è rappresentato dalla privacy, ossia sui limiti che il Garante ha posto per questa pratica e le sanzioni che ha commminato a quelle regioni / aziende sanitarie che per prime hanno provato a realizzarla, anche se bisogna dire che in diversi casi queste hanno poi vinto il ricorso. Il timore di sanzioni e blocchi da parte dell’Autorità sta frenando molte aziende sanitarie. C’è poi da dire che i dati oggi disponibili per profilare i pazienti sono principalmente di tipo quantitativo e provenienti dai flussi informativi. Non essendoci data repository clinici (CDR) di tipo territoriale, con dati qualitativi, è difficile stimare la classe di rischio o il bisogno assistenziale dei pazienti.

Mancano poi, salvo rare eccezioni, sistemi per la gestione della “presa in carico” dal punto di vista clinico – assistenziale. Sistemi che permettano a medici e infermieri di avere una “vista integrata” dei dati del paziente (Unified Care Record), degli interventi e delle attività che vengono pianificate ed erogate nei diversi setting assistenziali, incluso l’ospedale, dei bisogni e della situazione sociale del paziente. Sistemi che permettano di definire gli obiettivi e che quindi consentano di avere indicatori per il loro monitoraggio. Non basta infatti definire cosa è necessario fare per un paziente ma anche comprendere l’effetto che le cure producono.

A questi ostacoli tecnici bisogna poi aggiungere gli aspetti culturali e organizzativi. I “silos” che compongono la sanità territoriale sono formati non solo da sistemi informativi ma da approcci e modelli organizzativi estremamente frammentati. L’integrazione delle cure è un paradigma prima che tecnico professionale, organizzativo. L’offerta di sistemi territoriali riflette la domanda che è sempre stata di bassa qualità e parcellizzata in tanti ambiti operativi. È mancata, e continua a mancare, una visione integrata delle cure territoriali. Non ci sono cartelle cliniche territoriali integrate, ognuno si arrangia con ciò che ha.

Chi ha pianificato gli investimenti non ha avuto probabilmente questa percezione delle cose. Si è ritenuto importante finanziare la telemedicina, certamente utile ma non risolutiva, immaginando che i software che ci sono possano essere adoperati per svolgere le nuove funzioni. È un errore strategico molto grave che avrà ripercussioni sulla capacità di attuare il DM77. A meno che, come spesso è capitato in altri ambiti, non rimanga un piano dei sogni, un adempimento del PNRR che abbiamo smarcato con la sua approvazione.

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